Scuola Notizie

11 Gennaio 2021

Si può salvare l’anno scolastico?

Interessanti considerazioni di politica scolastica a cura di tuttoscuola.com

Ormai è chiaro. Il 2021 non sarà l’anno della ripartenza della scuola italiana, perché non sono state poste le basi perché lo potesse diventare, malgrado le raccomandazioni dei pochi profeti disarmati, tra i quali la nostra testata, che già nel pieno del primo lockdown avevano invitato i decisori politici ad affrontare le conseguenze scolastiche della pandemia di Coronavirus guardando avanti, a un nuovo modello di scuola, anziché indietro, al ripristino di quella vecchia.


Sarebbe il caso di non sprecare il tempo che ci separa dal 2021-2022 in vane operazioni di restauro, alla ricerca della scuola perduta, e di condividere invece la visione del modello di scuola che sogniamo, mettendo poi in cantiere con gradualità alcune misure di respiro strategico, già più volte prefigurate da Tuttoscuola, che vadano nella seguente direzione:

– Introduzione di metodologie didattiche innovative, con accelerazione della digitalizzazione e DDI (Didattica Digitale Integrata) a tutti i livelli di scuola;
– riduzione della durata complessiva degli studi pre-universitari a 12 anni, come in quasi tutto il mondo, con scuola secondaria superiore di quattro anni (2+2);
– eliminazione delle ripetenze, se non in casi estremi, almeno fino al primo biennio di scuola secondaria superiore;
– personalizzazione dei piani di studio individuali: core curriculum ristretto e rafforzato (italiano, matematica, scienze, tecnologia) fino ai 16 anni, integrato a partire dalla terza media da altre discipline opzionali o facoltative, ed esame di maturità centrato su 2, al massimo 3 materie scelte dal candidato, con crediti riconosciuti per gli studi o le attività successive;
– certificazione delle competenze al posto del diploma, anche sulla base dell’esito di prove oggettive nazionali, ripetibili, predisposte dall’Invalsi;
– ITS triennali (i bienni attuali più uno iniziale da concordare con gli istituti tecnici) che diano un titolo equiparato alla laurea universitaria di primo livello;
– piena autonomia organizzativa e didattica alle singole scuole e alle loro reti;
– grande investimento sulla formazione in servizio dei docenti, anche con periodi sabbatici.

 


Se si adotterà un piano di questo genere (o anche diverso, ma altrettanto ambizioso e finalizzato alla transizione dall’insegnamento trasmissivo all’apprendimento coinvolgente) si andrà verso il rilancio della funzione istituzionale della scuola (lo scenario che l’OCSE definisce re-schooling o extended school). Altrimenti, se ci si attarderà in operazioni nostalgia, il destino del sistema educativo tradizionale sarà quello prefigurato in un altro degli scenari OCSE: la descolarizzazione (Education outsourced).
 
 
 
 
 
 

Si può salvare l’anno scolastico?

11 January 2021

 
 
 
 
 
 

Eniscuola per la scuola primaria

Per aiutare a far fronte alle esigenze della didattica digitale,  Eniscuola da marzo 2020 ha organizzato una serie di incontri on line. Con il 2021 Eniscuola propone nuovamente alla scuola primaria corsi di formazione e laboratori in ambiente virtuale.

È possibile scoprire queste attività e iscriversi gratuitamente su eniscuola.net

 
 
 
 
 
 
 
 
2. 10 mesi fa

Era l’8 marzo scorso, un momento in cui l’epidemia del Coronavirus si stava trasformando drammaticamente in pandemia. Tuttoscuola scriveva: “Tutto non sarà come prima. E la scuola? Dopo un terremoto, dopo un’alluvione, dopo un grave evento che l’ha bloccata, la scuola cerca sempre di ritornare ad essere come prima.
Ma questa volta, quando questa emergenza sarà completamente finita la scuola non potrà essere più quella di prima. Ma sarà il modo d’essere della scuola ad essere diverso.

L’esperienza breve o (temiamo) prolungata della didattica a distanza, soprattutto laddove questa sta vivendo con intensità di contatti e ricerca di nuovi modi di insegnare e di apprendere, cambierà la relazione tra insegnante e alunno, tra docenti della stessa scuola, tra scuola e famiglia.
Come? non è facile prevederlo, ma cambierà: ne siamo certi.

La consapevolezza di questo cambiamento della nuova relazione interpersonale deve aiutarci fin d’ora a far tesoro della contingenza di questa esperienza per acquisire insegnamenti preziosi verso nuovi assetti strutturali. Mai come in questo caso, le difficoltà possono diventare un’opportunità. Un’opportunità per il miglioramento del fare scuola. Lavoriamo tutti, da subito, in questa prospettiva, non solo contenendo, ma anche costruendo”.       

La ministra Azzolina non ha fatto mancare i suoi apprezzamenti. Nei mesi successivi, tuttavia, le pesanti contingenze indotte dall’emergenza sanitaria avevano costretto anche lei a gestire la quotidianità anziché programmare il futuro.

Anche le proposte del gruppo di lavoro coordinato dal prof. Bianchi per trasformare la situazione in una occasione di rinnovamento della scuola sono rimaste sostanzialmente confinate tra i buoni propositi e per il momento archiviate forse in attesa di momenti migliori.

Crediamo, tuttavia, che non si possano attendere a lungo tempi migliori. Se il 2020-21 è destinato ormai ad essere un anno scolastico di attesa, occorre il coraggio di mettere mano comunque e subito ad un programma di innovazione generale che serva anche a salvare le giovani generazioni compromesse dalle ferite dell’emergenza sanitaria.

Per approfondimenti

Niente sarà come prima, anche a scuola
La scuola del dopo-virus: tre scenari possibili

 
 
 
 
 
3. Il lockdown incrementa gli abbandoni

Secondo un’indagine condotta da Ipsos tra gli studenti della secondaria di secondo grado, nel 28% delle classi si sarebbe verificato almeno un abbandono di un loro compagno, da quando la pandemia ha compromesso le attività didattiche in presenza.

Poiché nel 2019-20 le classi funzionanti erano 121,5mila, si può ritenere che, se fondata la stima del 28%, non meno di 34mila ragazzi hanno abbandonato o siano propensi a non ritornare a scuola.

Trattandosi di un’indagine, i dati non vanno tanto considerati nella loro accezione quantitativa quanto piuttosto nella fenomenologia che essi rappresentano, l’abbandono del percorso scolastico.
Da diverse parti e da tempo si paventava un effetto negativo del lockdown soprattutto nei confronti dei ragazzi più fragili e a rischio di dispersione: l’indagine lo ha confermato, purtroppo.

Difficile capire se quei 34mila siano da comprendere tra gli abbandoni ufficiali che si possono rilevare dai raffronti sulla scolarità del settore in questo anno 2020-21 oppure siano aggiuntivi.

Gli studenti del quinto anno degli istituti secondari statali iscritti (non si sa se attivamente frequentati) nel 2020-21 sono in tutto 470mila. Cinque anni fa, nel 2016-17, gli iscritti al primo anno erano 597mila.

Lungo il percorso hanno pertanto abbandonato la scuola statale in 127 mila, il 21,3%.

Se quei 34 mila, se pur ufficiosi, fossero nei fatti nuovi abbandoni che si vanno ad aggiungere, porterebbero il totale degli abbandoni oltre le 160mila unità con un tasso di circa il 27%, il livello negativo di sei-sette anni fa: un pericoloso ritorno al passato che riaprirebbe ulteriormente, con il coltello del Covid, una ferita sociale che fatica a rimarginarsi.

Una ferita che negli ultimi dieci anni ha comportato un abbandono complessivo di quasi 1,6 milione di ragazzi, il 26% degli oltre 6 milioni che nel decennio precedente avevano iniziato il loro primo anno del percorso scolastico nelle superiori.

È come se tutte le scuole statali della Lombardia e della Toscana si svuotassero senza avere in classe nemmeno uno del milione e 658 alunni iscritti quest’anno, lasciando deserte le aule di paesi e città.

Si può salvare l’anno scolastico?
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